mar 13
(LA RESPONSABILITÀ DELLA VERSIONE ITALIANA DEGLI ARTICOLI PUBBLICATI NEL BLOG DEL PROFESSOR NAVARRO È DEL TRADUTTORE, MICHELE ORINI)
A seguito della morte del presidente del Venezuela Chavez, il blog del professor Navarro presenta nuovamente questo articolo, scritto dal professor Navarro il 15/01/2013 ed intitolato “la demonizzazione di Chavez”.
In questo articolo si mostra come uno degli indicatori della mancanza di democrazia nei media più diffusi in Spagna sia la copertura mediatica squilibrata e tendenziosa delle politiche portate avanti dal governo Chavez. La sovrabbondanza di voci critiche e l’inesistenza quasi totale di voci favorevoli a tali politiche sono un segno evidente della mancanza di equilibrio e vocazione democratica dei media più diffusi in Spagna.
Uno degli indicatori della scarsa qualità della democrazia spagnola è la limitatissima diversità ideologica che caratterizza i media più diffusi in Spagna. Lo sbilanciamento verso tesi conservatrici di questi media, persino di quelli che si considerano di centro o di centro-sinistra, è molto accentuato in Spagna. Ovviamente questo stesso sbilanciamento caratterizza molti dei cosiddetti paesi democratici. Ma il caso spagnolo è estremo. La copertura mediatica della politica venezuelana da parte dei cinque quotidiani di maggior diffusione in Spagna ne è un esempio.
Negli Stati Uniti, per esempio, dove il dominio conservatore dei media è altrettanto accentuato, la copertura della presidenza Chavez è stata squilibrata, dando grande risalto alle voci critiche verso tal governo. Ma sugli stessi media sono apparse anche voci meno critiche.
Come segnala Mark Weisbrot (in un suo recente articolo sul The Guardian), negli Stati Uniti, il Los Angeles Times, il Boston Globe, il Miami Herald, e persino il conservatore The Washington Post, hanno pubblicato articoli favorevoli al governo Chavez, anche se la maggior parte si sono mostrati critici al riguardo.
Inoltre nell’ultimo week-end, The New York Times, ha pubblicato nella sezione “Summary of the Week”, la visione conservatrice neoliberale, rappresentata da Moises Naím, ed allo stesso tempo quella dello stesso Mark Weisbrot, direttore del “Center for Economic and Policy Research” di Washington, che contestava i dati presentati da Naím, presentando una realtà meno catastrofica di quella descritta dal suddetto autore.
Detto questo, vi inviterei a contare il numero di articoli pubblicati sui media più diffusi in Spagna critici verso la presidenza di Chavez e compararlo con il numero di articoli favorevoli alla stessa. Vedrete che di favorevoli non ne troverete nessuno. Anche El País, quotidiano che si considera liberale (e che per mera coerenza ideologica dovrebbe essere aperto a posizioni divergenti e perfino critiche nei confronti della sua linea editoriale) ha pubblicato le virulente critiche mosse contro il governo Chavez dal S. Moisés Naím (che si aggiungono a tanti altri articoli come quelli dell’iperbolico Mario Vergas Llosa), senza mai, ripeto, mai, pubblicare un articolo favorevole a tale governo.
Qui sta appunto uno dei punti più vulnerabili e difettosi della cosiddetta democrazia spagnola: il monopolio mediatico degli interessi conservatori nel sistema di informazione. Questo monopolio presuppone un costo elevatissimo per la democrazia spagnola.
Non solo impedisce alla popolazione di essere informata adeguatamente, offrendole un ampio ventaglio di posizioni sui suoi media, ma riduce la qualità del dibattito politico. Infatti le voci conservatrici-neoliberali, coscienti dell’assenza di critica verso le proprie posizioni, e padrone, per tanto, d’ immunità intellettuale, sostengono argomenti basati su dati la cui falsità è facilmente dimostrabile.
Si prenda per esempio la critica di Moisés Naím, che fu, tra l’altro, uno degli architetti delle politiche di austerità del governo di Carlos Andrés Pérez nel periodo 1989-1990, e che fu ministro dell’Industria quando nel 1989 avvenne il Caracazo, ovvero quando il governo sparò contro civili che protestavano per le politiche di austerità, ammazzando più di 3000 (tre mila) venezuelani. Questo autore, che nella sua colonna su El Pais si presenta come grande difensore dei diritti umani, è stata una voce super-critica verso il governo Chavez, promuovendo le politiche del Dipartimento dello Stato degli Stati Uniti, cosa che spiega la sua grande visibilità sui media internazionali soggetti all’egemonia del governo federale degli Stati Uniti.
Nei suoi ultimi articoli, Moisés Naím, ha appoggiato il punto di vista, proprio del governo federale degli Stati Uniti, secondo il quale il governo Chavez ha portato il Venezuela al disastro, creando un deficit pubblico che, secondo lui, rappresenta il 20% del PIL; Ha creato un settore pubblico ipertrofico che ha soffocato l’economia venezuelana; Ha generato un debito pubblico che è 10 volte superiore a quello che esisteva nel 2003; Ha creato un sistema bancario che sta per collassare; Ed una industria petrolifera nazionalizzata (che è la maggior fonte di ingresso dello Stato) che si trova in chiaro declino, più una lunga lista di altre “calamità”.
Visto che in Spagna non c’è nessuna possibilità che i mezzi di comunicazione più diffusi pubblichino analisi critiche verso tali affermazioni, risulta che la popolazione è pessimamente informata e crede che il Venezuela stia in una situazione di crisi e collasso.
Se fossero state pubblicate in Spagna le risposte di, per esempio, Mark Weisbrot, pubblicate sul The New York Times e sul The Guardian, si sarebbe potuto constatare il grado di esagerazione, ipertrofia e falsità che contenevano i dati pubblicati da, tra gli altri, Moises Naím.
Mark Weisbrot è uno degli economisti statunitensi più credibili in tema di economia internazionale. Diamo un’occhiata ai dati. Il deficit del Venezuela rappresenta, secondo il Fondo Monetario Internazionale, non il 20% del PIL ma il 7.4%. Per quanto riguarda la presunta ipertrofia del debito pubblico venezuelano, questo rappresenta il 51.3% del PIL, una percentuale minore della media dei debiti pubblici della Unione Europea (82.5% del PIL), e minore dell’obiettivo al quale aspira la UE (60% del PIL). Per quanto riguarda il collasso dell’industria petrolifera, la quota di produzione di petrolio è quella che i paesi produttori di petrolio, la OPEC, hanno deciso. E la sua diminuzione di esportazioni verso gli Stati Uniti risponde ad una decisione politica del governo Chavez che cerca di diversificare le sue esportazioni e non basarle solo su un numero ristretto di paesi. Tale riduzioni non ha nulla a che vedere con un presunto collasso dell’industria petrolifera venezuelana, che è inesistente. Simili manipolazioni e falsità appaiono anche quando Mosiés Naím parla della ipertrofia del settore pubblico. In realtà, come mostra Mark Weisbrot (dal quale estraggo questa informazione), la percentuale di impiego pubblico in Venezuela è approssimativamente il 18.4% della popolazione attiva, proporzione inferiore a quella che si registra in Francia, Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia. Mark Weisbrot segnala anche alcuni dei punti deboli dell’economia venezuelana, come per esempio l’elevata inflazione, un problema generalizzato in America Latina. Persino su questo punto critico il governo Chavez è intervenuto, riuscendo a ridurre l’inflazione dal 28% al 18%, riduzione ottenuta nonostante un forte aumento della spesa pubblica ed in particolare della spesa sociale.
Durante gli ultimi 10 anni, il governo ha aumentato la spesa sociale di un 60%, espandendo considerevolmente l’inefficiente Welfare State venezuelano, e guadagnando così popolarità tra le classi popolari. Come hanno documentato ricercatori di grande prestigio internazionale, quali il professor Carles Muntaner (dell’Università di Toronto), Joan Benach e Maria Paez Victor (dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona), la povertà è scesa dal 71% della popolazione nel 1996 al 21% nel 2010, mentre la povertà estrema ha registrato una discesa ancora più marcata, dal 40% nel 1996 al 7.3% nel 2010 (si veda l’articolo “Los logros de Hugo Chávez y la Revolución bolivariana”, di Carles Muntaner, Joan Benach y María Páez Victor).
È quindi logico e prevedibile che delle ultime elezioni democratiche svoltesi a livello nazionale (nelle quali tra l’altro la maggior parte dei media più diffusi in Venezuela, controllati da gruppi mediatici di tendenze conservatrici e neoliberali, si sono schierati contro Chavez) Hugo Chavez ed il suo partito ne abbiano vinte 13 su 14.
Tutti questi dati non appaiono nei media più diffusi in Spagna, sui quali si ha maliziosamente demonizzato tale governo. Le cause di tale demonizzazione sono facili da capire. Prima di tutto, il Venezuela è il paese con più riserve petrolifere al mondo. I governi degli Stati Uniti e dei paesi europei che appoggiano regimi feudali in medio oriente per assicurarsi provvigioni di petrolio si oppongono a morte ad un governo che vuole mettersi al servizio delle necessità delle sue classi popolari, e che, al contrario dei regimi feudali mediorientali, non accetta di essere un mero servitore degli interessi statunitensi ed europei.
La seconda causa è che l’America Latina è stata amministrata per lunghi periodi da governi neoliberali, come quello di cui fece parte Moisés Naím, che hanno aumentato la povertà delle loro popolazioni in maniera molto vistosa. Ciò ha generato una risposta di protesta che ha portato all’instaurarsi, attraverso mezzi democratici, di governi riformisti di sinistra, non solo in Venezuela, ma anche, in Ecuador, Bolivia, Argentina ed Uruguay, solo per citarne alcuni, e che elezione dopo elezione continuano ad essere rieletti. Questo crea una grande opposizione, poiché parte della loro vocazione riformatrice si basa sul tentativo di rompere i monopoli mediatici che hanno controllato l’informazione in quel continente.
Però al lettore spagnolo non viene detto nulla di tutto questo. Ed a tutto questo, da noi, si da il nome di democrazia.
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